Tra reale e virtuale – tre film

Viviamo un’epoca pazzesca. 

Che ha qualcosa di unico.

Pensateci: molte delle persone che vivono attorno a noi hanno passato gran parte della loro vita senza un dispositivo digitale a portata di mano. Un’altra buona parte è abituata, fin dall’infanzia, ad avere a che fare con tablet, smartphone e pc.

Questo non succederà mai più nella storia dell’umanità, e noi saremo gli unici a poter dire di aver vissuto con chi ha passato tutta la sua vita solo in ambiente “reale” e chi ha passato tutta la sua vita a stretto contatto con l’ambiente virtuale.

Questa dualità reale-virtuale, così marcata 25 anni fa, oggi sta diventando sempre più un unicum in cui siamo immersi. Di difficile confine e definizione. 

Il cinema, come sempre, tutto questo lo aveva previsto. E con il suo linguaggio profetico e poetico lo aveva raccontato. 

Il passaggio tra i primi momenti dell’era digitale di massa (circa 25 anni fa) e il pieno della sua attuazione (che è stata rapidissima) si è colta anche nel Gande Schermo. Lo raccontiamo attraverso tre pellicole, tre film (più o meno conosciuti) che sono dei piacevoli lungometraggi per una serata di noia (soprattutto in questi giorni), e al tempo stesso occasione di profonda riflessione sul nostro rapporto con la realtà virtuale.

 

Nirvana, di Gabriele Salvadores, 1997. Un film italiano di fantascienza, anzi, considerato da wikipedia il film italiano di fantascienza che ha realizzato i maggiori incassi della storia. D’altronde non ce ne sono molti… Nirvana è tutt’ora un film anomalo e (forse) avulso per la cultura italiana. Solo pensare che il caratteristico Diego Abatantuono sia il protagonista di un videogame è quantomeno audace. Si chiama Solo, è una creazione virtuale in fase sperimentale, e viene colpito da un virus (informatico) diventando consapevole del suo essere digitale. Si mette quindi in contatto col suo produttore, chiedendogli di essere “liberato” e non venire masterizzato in milioni di copie. Questa richiesta porterà Jimi (il creatore di Solo) a un viaggio a metà tra il reale e il virtuale, tra hacker, mondi alla Escher, identità conturbate. Nirvana, che è ambientato nel 2005 (un 2005 che, oggi, ci pare davvero ridicolo) nasce agli albori dell’era digitale di massa. Siamo nel 1997: Windows 95 è uscito da pochissimo ma sta “invadendo” tutte le case, i cellulari sono pochissimi e molto costosi, è la prima volta nella storia che si usa la parola “Smart Phone” grazie all’Ericsson GS88 Penelope, in Italia viene aperto (per la prima volta nel mondo) un sito internet per l’invio di SMS e viene pubblicato “l’ultimo album ad aver cambiato la musica rock”, che guarda caso si intitola “OK Computer” (dei Radiohead) che racconta “in maniera criptica e angosciata le ansie per un futuro che sembrava, a ragione, destinato a diventare dominato dalla tecnologia.”

Nirvana ci mostra tutto questo con folle lucidità: non sappiamo cosa ci porterà il prossimo digitale, ma, come il protagonista, è probabile che ne rimarremo invischiati fino al collo: creatori di realtà virtuali e incapaci di sfuggire alla realtà del virtuale.

 

 

Matrix, dei fratelli (ora sorelle) Wachowsky, 1999. Sono passati solo due anni da Nirvana (che per molti è fonte di ispirazione di Matrix) eppure molto è cambiato nel mondo digitale. I computer sono in quasi tutte le case, è appena nato Google, il virus informatico CIH mette fuori uso decine di milioni di PC nel mondo e tutti sono in attesa del famigerato Millenium Bug, che potrebbe mandare totalmente in crisi il ben cresciuto mondo dell’informatica. Nasce Napster, il primo sistema di file sharing di massa (che avrà cause legali per decine di milioni di dollari), Jeff Bezoz (fondatore di Amazon) è uomo dell’anno su Time, e non è ancora stato coniato il termine “nativo digitale”. Matrix sconvolge tutti e tutto, diventando una pietra miliare del cinema contemporaneo e portando la fantascienza cinematografica a una diffusione di massa mai vista prima (senza bisogno di andare nello spazio): oltre ai 4 oscar è considerato un vero fenomeno culturale, di influenza planetaria. Perché? Perché parla di un futuro che è già presente. Perché la gente comune ha iniziato ad abituarsi alle macchine, e ci interagisce continuamente. Avendone sempre un po’ paura. Perché, alla fine di tutto, comunque (perdonate lo spoiler, ma se non avete visto Matrix un po’ è anche colpa vostra) l’uomo vince sulle macchine. Senza distruggerle, ma controllandole. In Matrix la differenza tra reale e virtuale è incredibilmente marcata (fuggiaschi vagabondi nel reale, super guerrieri potentissimi nel virtuale) eppure il legame tra i due mondi è fortissimo: al punto che si passa da uno all’altro con estrema facilità, ben consci che se si muore nel virtuale si muore nel reale. Paradossalmente Matrix ci mostra uomini perfettamente capaci di vivere a cavallo tra questi due mondi, consci di poter decidere quando “entrare” e quando “uscire” (per quanto uscire sia sempre molto più difficile che entrare…) e consapevoli che ciò che si manifesta nel virtuale, si riflette fortemente nel reale. C’è un’ultima cosa che ha reso Matrix così potente. Che nonostante la logica eccezionale, la razionalità perfetta che permea tutto il film, è presente una dose massiccia di magia, di fiaba. Di karma, di fato, di oracoli e di eletti, di conigli bianchi e paesi delle meraviglie, fino al tradizionalissimo (e commovente) bacio di biancaneve che riporta in vita il principe azzurro. Già. Perché alla fine non importa se tutti noi capiamo il mondo delle macchine, il digitale, e la sua logica. La cosa bella (e la nostra speranza) è che esista, come per magia, quel mago, scienziato, informatico, programmatore, che potrà comunque salvarci. O ripristinarci Windows.

 

Scott Pilgrim vs. the World, di Edgar Wright, 2010. Se i film precedenti in qualche modo possono essere apprezzati da tutti, per gustare la bellezza di Scott Pilgrim vs. the World bisogna essere nati negli anni ’80 (meglio se negli ultimi 5 anni). Se inoltre si è cresciuti a pane e Pac-Man, ascoltando i Nirvana e leggendo graphic novels, allora questo lungometraggio ha qualcosa di profetico. Perché sta parlando proprio di voi. Siamo nel 2010 e il mondo è decisamente cambiato rispetto al 1999, per quanto molte cose siano ancora agli albori. Si arriva all’apice della vendita annua di devices di telefonia mobile (550 milioni nel mondo, cifra che resterà pressoché invariata nei 10 anni successivi), facebook esiste da 6 anni ed ha già 500 milioni di utenti (e nel 2010 viene oscurato in Pakistan e Afghanistan), whatsapp è nato da pochi mesi e ha appena sviluppato la possibilità di inviare foto. Nasce instagram, viene presentato il primo iPad. Wikileaks pubblica migliaia di documenti diplomatici statunitensi, e poco dopo il fondatore Julian Assange viene arrestato (per presunto stupro…). L’immersione nella realtà virtuale è quotidiana, ormai per tante persone di ogni fascia di età. E Scott Pilgrim racconta la fiaba violenta (eppur piacevole) di un giovane nerd che deve conquistare la sua principessa cyberpunk, Ramona. In un costante miscuglio tra realtà e videogioco. La magia di Scott Pilgrim sta proprio nel contesto: nel mondo (e nel modo) in cui Scott vive la sua quotidianità. In cui non è tutto un videogame, ma tutto è reale come in un videogame. E Scott ci è abituato, ci è immerso. Per lui non c’è nulla di strano se ogni volta che sconfigge uno dei “7 malvagi ex” di Ramona, questo esplode in mille monetine d’oro; né pare stupito se quando va in bagno compare una “pee bar” che si svuota man mano che fa la pipì. In questo capolavoro nerd, (dove i nerd sono raccontati con nostalgica ironia), il confine tra reale e virtuale scompare totalmente con una tale naturalezza che sembra non ci sia mai stato. Anzi, Scott ci dice, superati i primi 10 anni del 3 millennio, che da qui in avanti non dobbiamo avere paura, non dobbiamo preoccuparci. Perché le questioni serie, quelle cosmiche, quelle che ci porteranno via gran parte dei pensieri e del tempo, resteranno comunque invariate: l’amore, l’inadeguatezza, l’amicizia, l’inquietudine, la ricerca della felicità. E il digitale, per quanto reale sia, ci accompagnerà soltanto in questa meravigliosa sfida “contro il mondo” che è la vita di ognuno di noi.

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