Su giovani, digitale e covid19

Una delle retoriche che ci siamo dovuti sorbire fino a prima era quella sui giovani e la tecnologia digitale. Ritornelli stanchi, usurati, svuotati di senso: “i nativi digitali sono i nuovi barbari”, “i giovani non sono più capaci di relazioni vere e autentiche”, “sono sempre attaccati al telefono”, “non sanno più parlare”, ecc. 

Quello che viviamo ora svela il digitale nella sua essenza, semplice e disarmante: non è uno strumento e non è “virtuale”. Il fatto che in questi giorni sia l’ambiente pressoché esclusivo dell’incontro con l’altro, soprattutto per i più giovani, ci porta finalmente a capire che il digitale è reale. E come tale va vissuto, va studiato, approfondito, e possibilmente compreso: operazioni che durano tutta una vita.

Se il digitale è reale, vi sono alcune conseguenze che non possono essere né ignorate né fraintese, a maggior ragione durante questo tempo “sospeso. 

 

  1. L’accesso al digitale non può essere un lusso di pochi, o anche di molti. L’accesso al digitale è di tutti. E questo non significa, come si legge troppo spesso in questi giorni, fornire device e connessioni di rete: accanto alla tecnologia ci sono la formazione (quali sono le regole del gioco? Come ci sto in questo ambiente di vita?) e la relazione (chi trovo oltre lo schermo? Come vive nel digitale? Cosa mi vuole comunicare?).

 

  1. Il digitale è il campo in cui oggi tutti stanno giocando, qualsiasi sia l’età. I meccanismi intergenerazionali corrono così un rischio tremendo di polarizzazione, e lo sa bene la scuola: i prof che faticano con la tecnologia stanno riducendo il loro lavoro a carichi di schede e consegne, diventando essi stessi macchine sforna esercizi; i prof poco inclini all’empatia perdono ancora di più il contatto con i ragazzi, che si nascondono dietro telecamere e microfoni spenti; i prof che puntano su disciplina, valutazione e soprattutto contenuti rimangono con un pugno di mosche in mano. E non è una responsabilità del singolo docente, ma una questione letteralmente collettiva e culturale. La domanda posta con insistenza alla scuola fino a ieri da più parti, oggi diventa un allarme inascoltato e terribilmente profetico, che l’uso obbligato del digitale non fa altro che amplificare: cosa cercano i ragazzi dalla scuola e di cosa si nutre la loro vita nelle ore di lezione? In altre parole: che cos’è una buona didattica? Quanto deve puntare sulle competenze e quanto sui contenuti? Si può pensare davvero di separarla da tutto il resto, da come ci si relaziona con i ragazzi, da come gli si parla, da come si ingaggiano durante l’ora di matematica, italiano, o quel che sia? 

 

  1. In tanti hanno parlato di un’assenza dei “minori” da decreti e ordinanze. È tremendamente vero. Non si è pensato a loro, ai loro bisogni. Che cosa significa non poter stare all’aria aperta? Che cosa comporta non vedere i propri compagni e amici? Che peso ha tutto questo nella crescita di un bambino, ragazzo o giovane? Quanto è davvero prorogabile “diventare grandi”, con tutte le necessità, le responsabilità e i diritti ad esso connesse, per milioni di piccoli italiani? 

 

  1. E non è soltanto una questione di bisogni inascoltati. Ma anche di risorse, capacità, potenzialità che non stiamo minimamente cogliendo. Se il cambiamento climatico, con i Fridays for Future, ha scatenato la prima reazione di una generazione altamente sottovalutata, il COVID-19 potrebbe fare il resto. In questi giorni, chi ha la fortuna di ascoltare i ragazzi si può rendere conto dei pensieri alti, degli sguardi lucidi, delle riflessioni acute che maturano nelle loro stanze, oltre i facili hashtag da social network. Chi ha la fortuna di lavorare con loro, non si stupirà nel vederli in prima linea a supportare a distanza i propri compagni, amici, o ragazzini sconosciuti nello svolgimento dei compiti o nella comprensione delle lezioni più difficili, come in un doposcuola virtuale. Non si stupirà nemmeno dell’enorme bagaglio di competenze digitali e tecnologiche che vengono messe in campo per correre in aiuto di famiglie, adulti, anziani che rischiano di restare disconnessi e perciò completamente isolati.

È reale il digitale, come tutto quello che stiamo passando, come sono vere le generazioni che scalpitano dietro di noi. Diamo loro diritti e possibilità per esserci, al nostro fianco. Ce lo insegna la storia: con ogni probabilità, saranno le minoranze fragili e giovani a portarci fuori di qui.

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