Passarci attraverso con Matrix Resurrections

Il nuovo Matrix è il più bel film che ho visto al cinema dai tempi del primo Matrix.

Forse perché non vado molto al cinema, certo, ma soprattutto perché dalla prima scena, che riporta inevitabilmente indietro di 20 anni, all’ultima, che ci porta avanti di 20 (speriamo meno…) c’è una storia che parla di oggi. Parla del nostro mondo digitale in modo chiaro e naturale; dove tuttavia, la natura non è certo buona, amica o sana, come pur crede l’invecchiata Niobe nella nuova città di Io. Matrix 4 è privo di incredibili colpi di scena, non c’è raffinata arte cinematografica, non c’è banalità. C’è l’umano del terzo millennio. C’è la preziosa fragilità delle relazioni, c’è l’incertezza che impera. Tutto ciò che è definitivo viene messo in discussione: scompare l’oracolo, perde di (auto)credibilità l’individuo eletto, si affievolisce la differenza tra uomini e macchine, tra reale e virtuale, tra pillola rossa e pillola blu. Si, anche la scelta si smarrisce: non c’è più una risposta giusta, non c’è più una soglia da varcare, non c’è più un mondo da salvare.

Siamo quindi perduti nell’ineffabile?

No.

Perché c’è un’esistenza da vivere. E la si può vivere “passandoci attraverso”, quindi transitando nella realtà. La metafora transessuale dei primi tre capitoli qui si amplia verso un transumano in cui il cambiamento non avviene quando si modifica la propria individualità ma quando si passa da individuo a relazione.

In Matrix 4 si assiste al raffinato passaggio dall’io al noi: la pluralità supera l’eletto. Ed è, comprensibilmente, una pluralità incerta, debole, fragile, che richiede un sacco di fatica e un sacco di persone. Che non ha a che fare con le masse, ma con le relazioni. E in quanto plurale supera il destino, il libero arbitrio, la scelta, e abbraccia una visione probabilistica (che non è relativistica) della vita. In cui tutto, perfino la morte, può essere messo in discussione.

In Matrix 4 si vede l’evoluzione del mondo che viviamo: dalla struttura (l’architetto del terzo capitolo) si passa alla società (l’analista del quarto) illustrandoci una realtà in cui il pericolo peggiore non è il contesto, ma la lettura che ne diamo e il modo in cui lo abitiamo. Matrix 4 evolve la visione antropocentrica novecentesca (ben marcata nel primo capitolo) verso una transizione cooperativa che trova la sua forza e definizione nella relazione-interazione.

Tanto di Matrix 4 l’abbiamo già visto eppure sta succedendo di nuovo e sta succedendo in modo diverso. Siamo diversi noi, è diverso il nostro rapporto con il digitale, è diversa Lana Wachowsky, che parte da un terribile e doloroso lutto famigliare per mettere in scena un mondo in cui la relazione è ciò che più conta.

 

C’è anche qualcosa di meravigliosamente transfemminista in Matrix 4. La Trinity di Resurrections non è più “la donna che si sarebbe innamorata dell’eletto”, figlia della retorica maschilista del “dietro a un grande uomo c’è una grande donna”. La Trinity di Resurections è l’eletto. Ma non nella sua individualità, bensì nel suo essere relazione con un altro (Neo), che permette al fu eletto del secolo scorso- ormai fragile e insicuro- di tornare a volare. Non è tanto il percorso della persona (individuale, alla ricerca di sé, aiutata – o controllata- da psicoterapia esaustiva), ma è attraverso la relazione tra Trinity e Neo che i due possono diventare qualcosa di nuovo. Che domina e controlla, con ironia e inquietudine, il nuovo mondo digitale in cui siamo tutti inevitabilmente immersi. E che, comunque, non si esaurisce in loro.

 

C’è infine un’ironia sottile e deliziosa, rara nel mondo pop di cui Matrix è, e vuole essere, parte. Impossibile restare indifferenti durante la divertente riunione sulla produzione del quarto capitolo della saga e non sorridere dell’evoluzione del “maestro” Morpheus da rocckettaro adulto tuttodunpezzo a cazzone trap giovane e fluido. Ma l’apoteosi si raggiunge nel discorso pronunciato da “il Merovingio”, una raffinata e spassosa (auto)critica degli e agli intellettuali digitali. La costruzione scenica è splendida: Neo sta combattendo contro l’agente Smith in una scena corpo a corpo che qualche anno fa sarebbe stata carica di pathos, di effetti digitali, di tensione che ci avrebbe fatto chiedere se il nostro eroe sarebbe sopravvissuto. E invece, mentre un sempre adeguato (nella sua inadeguatezza) Keanu Reeves si adopera in acrobazie e colpi di kung fu, uno sfatto e furioso Lambert Wilson ci distrae con rabbia, adoperandosi in un monologo di insulti, sputacchi giallastri e ingiurie contro facebook, wikipedia e il nuovo digitale, annunciando apocalissi e – soprattutto – promettendo di tornare “nel sequel che verrà!”

 

 

È infine dolce e raffinata la battuta sul cielo arcobaleno, a fine del film, che racchiude il futuro che Lana augura a questa nostra umanità.

La cosa più sicura che possiamo affermare di questo Matrix 4 che ci ha comunque molto confusi (“il nuovo Matrix è un pasticcio” scrive Slavoj Žižek) è che non sia un film di fantascienza. Non sta più raccontando una fiaba su un futuro distopico (come era stato il primo capitolo), ma ci sta parlando di oggi, del nostro mondo, con una nuova complessità (o Alain Berthoz direbbe “semplessità) che la Wachowsky ha probabilmente capito soltanto passando attraverso.

 

 

Marco e Tommaso

 

A chi volesse approfondire, qui trovate una bellissima e documentata recensione del film scritta da Francesco Boille, che mostra, tra le tante cose, quanto nell’Umwelt di Matrix Resurrections ci sia un grande approfondimento dal punto di vista della sociobiologia, delle teorie della fisica contemporanea e della filosofia:

https://www.internazionale.it/opinione/francesco-boille/2021/12/30/Matrix-resurrections

Qui invece una bella narrazione di Carrie Anne-Moss sul suo essere Trinity oggi:

https://www.vanityfair.it/article/trinity-e-come-voi-Matrix-film

 

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